Racconti dietro l'angolo

Piccole storie per raccontare

lunedì 10 marzo 2008

Mandelieu Menton 2004


“ Se ce lo avessero fatto fare per lavoro, sicuramente avremmo fatto sciopero, occupato l’azienda, fatto una serrata etc etc”. Con queste parole ho ringraziato i componenti della mia banda dopo questa, fisicamente e psicologicamente, massacrante trasferta francese.

Già dall’inizio della settimana le cose erano cominciate male, un paio di ragazze avevano dato forfait, ad un trombone ferroviere annullate le ferie per la malattia dei colleghi. Un'altra tutti i familiari malati e non sapeva a chi lasciare i bambini. Ed io a rifare il piano delle camere d’albergo, rimesso in discussione dopo ogni “Non posso venire”. Poi il pensiero del padre di Marco, il nostro Presidente e primo trombone. E soprattutto mio carissimo amico. Stava molto male e Marco era combattuto tra il bisogno di stare con il padre e il dovere di stare con la sua banda. Ed io , impotente, non sapevo cosa consigliare. La consapevolezza che se lui non fosse venuto tutte le responsabilità sarebbero ricadute su di me. Il francese ci avrebbe pagato? E la cena? Ci avrebbe dato la cena come convenuto? E l’impresario di Menton si sarebbe arrabbiato perché a sua insaputa eravamo stati a Mandelieu? Ad aumentare la mia angoscia arriva un fax, le majorettes devono essere alte,mature ma non troppo, magre e tres joli! Mi sento persa, e che siamo alle finali di Miss Italia? Ma lo sanno loro che le majorettes sono una razza in via d’estinzione da proteggere come i ghepardi della savana? Hanno una vaga idea di quante ragazzine bruttine sono poi sbocciate come il brutto anatroccolo della favola?

Marco decide di non venire e la sveglia delle 5 mi trova ancora persa nelle mie mille preoccupazioni. Arriviamo all’orario convenuto e il pulman ancora non c’è. Mi torna subito in mente un paio di anni fa, dovevamo andare alla Rai e il pulman non arrivò, telefonavamo e ci inventavano una scusa dopo l’altra. Fummo abbastanza svegli da capire l’antifona e a salire in macchina e andare a Roma. Roma è a 150 chilometri. Mentone no. Ecco il pulman, meno male un motivo di panico in meno. Stranamente sono tutti puntuali e riusciamo a partire in orario con il mastodontico pulman a 80 posti. A ruota la nostra Cenerentola, il furgone Ducato di anno imprecisato, carico di strumenti. Non siamo ancora in Liguria che Susanna comincia a sentirsi male. Ci fermiamo, sembra stare meglio e ripartiamo. Un centinaio di chilometri e sta di nuovo male, prova a salire con suo marito sul Ducato, forse è il pulman a causarle forti dolori di stomaco. Dopo un po’ chiamano al telefono, hanno deciso di fermarsi al pronto soccorso di Savona. Davanti ai miei occhi sfilano le immagini del pronto soccorso di una città, seppur piccola, di sabato mattino. Mi prende il panico, gli strumenti sono tutti sul ducato e se forano una gomma, se restano bloccati da un incidente, cosa facciamo? Fortunatamente devo ricredermi sulla sanità ligure, tempo mezzora hanno fatto tutto e ci raggiungano nell’area di sosta dove ci siamo fermati per il pranzo. Comincio a tranquillizzarmi, ora deve andare tutto bene, statisticamente deve andare tutto liscio. Arriviamo a Cannes con un ora di ritardo sulla tabella di marcia, quindi l’ora di riposo che avevo calcolato va a farsi friggere. Mi consegnano le chiavi dell’albergo in una cassetta e comincio a consegnarle avvantaggiata dalla mia rooming list preparata precedentemente (due notti di lavoro). Il primo che mi dice “cambiami la camera” lo stendo. Tutti prendono le chiavi docilmente e silenziosamente. Telefono all’impresario francese. La vocina registrata mi dice naturalmente in francese che il numero non esiste. LO SAPEVOOOOO!!!! Ho preso una fregatura. Il tanto temuto bidone eccolo qui. Mi soccorre la mia amica francese che ha approfittato dell’occasione per venirmi a trovare. Legge il numero e mi fa notare che ha il prefisso internazionale come se telefonassi dall’Italia, basta che tolga lo 0033 e monsier Frank risponde che arriva subito. Riprendo fiato.

Arriva Frank accompagnato da un italo francese che almeno risolve il problema della lingua. Ci accompagnano a Mandalieu dove troviamo un’altra banda (ma dove li ho visti questi qui?). Ci dicono di suonare fino alle 18,30 poi quando passeranno i carri dobbiamo accodarci al corteo. Il dvd di Isaia, ecco dove li ho visti! Mi avvicino all’altra banda e gli dico che li ho visti nel dvd della festa di Lonate. Il ghiaccio è rotto e ci accordiamo di suonare un brano per uno, anziché 15 minuti ciascuno come ci avevano detto. Parte la Roncaglia M.B. tutti allineati perfettamente. Che invidia quelle file belle dritte! E che suoni puliti! Noi spariamo Hot Stuff, a tutto volume. Siamo un po’ caciaroni, le file fanno schifo, qualche nota delle trombe forse è un po’ troppo sopra le righe, ma il pubblico applaude. Quando partono le percussioni con il solito giro ritmico la gente batte le mani con noi e canta la melodia dello xilophono. C’è una coppia di persone anziane che ci guardano ammirati. Alla fine del corteo, incuriosita dal fatto che ci hanno seguito per tutta la sera, gli porgo un nostro depliant, pensando che fossero italiani e che ci avessero seguito per “amor di patria”. La signora comincia a snocciolarmi un fiume di parole in francese, e solo dal sorriso capisco che sono complimenti.

Ci sono diversi gruppi, gli sbandieratori di Alba, una banda cecoslovacca con le majorettes fatte con lo stampino ( ma dove le trovano tutte uguali e per di più belle?) e i carri di mimosa. La mimosa è il mio fiore preferito, a casa mia le ha stroncate tutte la neve ed ora che bello vederle fiorite!

Finisce la festa, l’impresario mi paga ( un pensiero in meno) e mi dice che sicuramente ci richiamerà. Ci accompagnano al self service spiegandomi che ci sono i pasti pagati per 270 persone. La fila è enorme, mi rendo conto che nessuno controlla. Chiunque può mangiare e passare per uno di una banda, quasi nessuno indossa la divisa. Noi siamo gli ultimi, e se fossimo il n. 271 e mi portano il conto? Anche questa va bene, ed anche gli ultimi riescono a mangiare. Sono le 22,30.

Rifletto che stranamente nessuno ha avuto da ridire sul fatto che cenavamo ad un ora così tarda e nemmeno sulla scarsa igiene del locale. Qualcuno ha riso dicendo che ha dovuto appoggiare il pane su un Tempo, visto che i vassoi erano sprovvisti di tovaglietta e il tovagliolo era in fondo al self service. Siamo tutti stanchi e silenziosamente rientriamo in albergo. Per me ancora non è finita, devo andare a salutare l’impiegato italiano che mi ha aiutato per le prenotazioni. Lavora in un albergo vicino, della stessa proprietà di dove alloggiamo noi e fa il turno di notte. Mi faccio accompagnare dalla omnipresente Antonella e recupero il vino che gli ho portato. Le bottiglie sono integre, il cartone no, poco male. Ci accoglie calorosamente, ma perchè all’estero se parliamo la stessa lingua siamo tutti amici e in patria ci scanniamo per un parcheggio? Vuole offrirci un caffè, propongo una camomilla, per oggi ho fatto il pieno di eccitanti naturali. Niente camomilla.

Ci consiglia di portare il nostro ducato dentro il parcheggio dell’albergo, non è consigliabile lasciarlo fuori. Chiamo Nazzareno al cellulare e scopro che ha lasciato Irene in camere da sola e che lui è a chiacchiera da qualche parte. Provo altri due o tre numeri, non risponde nessuno. Finalmente risponde Davide, promette che si occuperà del furgone. Torniamo in albergo, nessuno si è occupato del Ducato, quindi riparte Nazzareno. Verso mezzanotte riusciamo a spengere al luce. Mi aspetta un’altra notte insonne, ormai lo so, quando cambio letto non dormo mai.