Racconti dietro l'angolo

Piccole storie per raccontare

sabato 27 ottobre 2007

Birillino

IL PIAVE MORMORO’: NON PASSA LO STRANIERO!”

- “ZAN ZAN” ancora nonno, ancora una volta!

Il vecchio Olinto si schiarì due volte la gola e con la voce baritonale intonò di nuovo La Leggenda del Piave. Il nonno sapeva tantissime canzoni e stornelli, imparati in giro per le campagne a fare i suoi tanti mestieri. Ma il Piave era la preferita del piccolo Alessandro, poteva cantare anche lui lo ZAN ZAN finale e la sua voce bianca cercava di assumere l’austerità di quella del nonno. Non capiva però come mai al nonno ogni volta che la cantava si inumidivano gli occhi.

- Ora basta, vai a giocare che deve venire Pallino a farsi i capelli.

Intanto aveva preso il rasoio e la fetta cominciando ad affilare la lama.

Alessandro adoravo questo nonno più vecchio di quelli dei suoi compagni. Era un uomo minuto accompagnato sempre dal suo bastone, eredità di un urto con l’ automobile che lo aveva investito. Il bambino lo seguiva curioso nei suoi lavori, sapeva fare tante di quelle cose. Quello che incantava Alessandro era ammirare i lavori di incisione sul legno. I cacciatori gli portavano i fucili e Olinto cesellava minuziosamente sul calcio i nomi, la testa di una lepre , una piccola quaglia o la coda di un fagiano. Sapeva costruire le casse per i fucili, le botti per il vino, i bigonzi dove mettere l’uva durante la vendemmia. I lavori di falegnameria erano i suoi preferiti ma non gli unici.

A casa venivano continuamente persone a chiedere i mestieri di Olinto.

– Birillino me le arrotate le forbici che mi cuciono!

- Olinto avrei da stagnare una marmitta, ci potete pensare voi?

Dalle sue mani uscivano utensili e arnesi di legno ma anche di quel metallo burroso che è lo stagno. Una volta aveva fatto un coperchio enorme con la borchia di un’auto, facendogli anche il manico. Peccato che c’era rimasto scritto Fiat 850.

Non era stata facile la vita di questo uomo, aveva solo un anno di più dei “ragazzi del 99” e partì appena diciassettenne per il fronte austriaco. Tornò invalido, la maschera antigas gli era crepata sul viso, intossicandolo e rovinando per sempre i suoi polmoni. Olinto che era stato abile per il Re non lo era più per la terra e solo perché aveva una piccola pensione fu tollerato dalla sua famiglia, povera gente che faticava a campare nel podere a mezzadria. E le sue 6 medaglie al valore non servivano ad apparecchiare la tavola. Fu per questo che Olinto si ingegnò ad imparare tanti piccoli lavori che gli permisero di non essere di peso. Non lo fu per molti anni ma quando ormai di mezza età volle prendere moglie fu costretto a cercarsi casa. Non si disperò, trovò un paio di stanze per se e per Armida e ci lavorò giorno dopo giorno, finché non le rese decenti. Inaspettatamente, vista l’età ormai non giovanissima, ebbero una figlia. “La mia Tortora” la chiamava Olinto e, come il pennuto , che torna sempre al nido, la Tortora restò sempre con i genitori, che portò con se dopo il matrimonio.

“Vieni a letto Alessandro che ti racconto una storia”. Ormai era grandicello, non cantava più Zan Zan nel finale del Piave, ma le storie del nonno lo affascinavano sempre, quindi si preparò con piacere a sentirne una nuova.

“Avevo diciassette anni quando mi chiamarono alla guerra. Non ero mai uscito dal mio paese e mi ritrovai tra montagne mai viste, tra gente sconosciuta che parlava in modo strano. C’erano ragazzi come me di tutte le parti d’Italia e tutti avevamo tanta paura e tanta fame. Qualche galletta, le fasce di lana per i piedi, un pastrano e il moschetto erano la nostra dotazione. Marciavamo per giorni e giorni, quando il nemico era vicino ci si nascondeva nel fango delle trincee e si montava un pugnale sulla canna del fucile. Mi sa che è in quel fango che ho preso la pleurite. Stavamo chiotti fino a quando il comandante gridava “All’assalto!!!!!” allora correvamo verso il nemico, se c’erano munizioni sparando, altrimenti con la speranza di infilzarlo prima di essere infilzati. Una volta ho creduto per davvero di morire. Partii all’assalto ma dopo pochi metri inciampavo nei corpi dei commilitoni che mi precedevano. Era un macello, non avevo coraggio di andare incontro alla morte. Gli austriaci sparavano di brutto e sentivo le pallottole fischiarmi intorno. Mi buttai a terra e mi nascosi sotto il corpo dei miei compagni morti. Sentivo il sangue caldo colarmi addosso ma non mi mossi , stetti fermo anche quando i corpi sopra di me diventarono di marmo. Anche io ero diventato di marmo, rimasi li sotto per tre giorni e tre notti prima di riuscire a rialzarmi.”

“Nonno, ma hai mai ucciso nessuno?”

“Zitto ora e dormi che è tardi e domani devi andare a scuola”

Forse era al fronte che aveva imparato la sua disciplina personale come aveva imparato a curarsi i reumatismi. Si fece arrivare dalla Francia delle “coppette” di vetro, incendiava un batuffolo di cotone e le coppette si attaccavano alla carne come sanguisughe succhiando l’umidità che la trincea aveva lascito nelle sue ossa. Olinto era molto metodico, rispettava scrupolosamente le prescrizioni dei vari medici che avevano cercato di riparare i danni sul quel corpo minuto. Tutti i pomeriggi faceva “il merendino” con una fetta di pane e mortadella perché glielo aveva consigliato il medico che lo aveva operato all’”urciola”. Chiudeva la giornata con un sorso di sciroppo consigliato dal “dottore delle spalle”, quello che gli aveva curato la pleurite. Ma la sua autodisciplina si vedeva con le sigarette. Il suo capitano di trincea gli aveva insegnato che con moderazione non facevano male, anzi disinfettavano l’apparato respiratorio. Allora si concedeva due Nazionali senza filtro. La mattina le prendeva dal pacchetto e le smezzava, così diventavano quattro. Conservava in tasca le cicche e la sera con una cartina ne ricavava una quinta, concessione per il dopo cena.

Probabilmente tutte queste regole sono servite, perché Birillino è arrivato a compiere 86 anni. Birillino era il sopranome di famiglia, ma chi lo conosceva lo apprezzava per la sua costanza e la sua saggezza.

Napoli caserma……. 1987

Il Piave mormorava al passaggio dei primi fanti il 24 maggio…..”

Centinaia di reclute cantano l’inno prima di prestare il giuramento alla patria. Il viso di Alessandro è bagnato di lacrime, ora sa perché nonno Olinto piangeva.

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