Racconti dietro l'angolo

Piccole storie per raccontare

sabato 27 ottobre 2007

La felicità

L’ostetrica aveva detto che era questione di giorni, presto il bambino sarebbe nato. Lei sperava che fosse una bambina anche se era il primo figlio. Certo avrebbe deluso un po’ suo marito ma soprattutto suo padre che aveva dovuto accontentarsi solo di lei. Figlia unica e per giunta femmina ed ora sognava un nipotino da portare a pesca.
Accese la luce per vedere l’ora, erano le 5. Antonio faceva il turno di notte, fino alle 8 non sarebbe ritornato. Non era tranquilla a stare da sola di notte, ma il turno ad Antonio non l’avevano cambiato. Sua madre si era offerta di dormire con lei, ma era talmente noiosa che l’avrebbe riempita di ansia. Poi non voleva nessuno al momento del parto. Già sarebbe stata imbarazzante la presenza della levatrice, figuriamoci di sua madre. Si era messa d’accordo con la Gina. I due appartamenti avevano una porta comunicante, comunicante per modo di dire visto che non si apriva, ma era di legno e se i primi dolori fossero arrivati mentre era sola, avrebbe bussato alla porta.
Non riusciva a riaddormentarsi. Aveva avuto sempre il sonno leggero e delicato, qualsiasi piccola variazione di luce o di rumore la svegliavano e il riposo era finito. Si carezzò dolcemente il pancione cercando di rilassarsi. Non riusciva ad immaginarsi quel bambino, non era stata la sorella di nessuno e nemmeno la zia, non era abituata ad avere a che fare con i neonati. C’era una cosa che la preoccupava e che non aveva confessato a nessuno. Sarebbe riuscita ad essere dolce ed affettuosa con la sua creatura? Suo marito le rinfacciava spesso di esser fredda, di essere un generale come sua madre.
Si strinse le coperte addosso per scaldarsi, troppo pigra per prendere un’altra coperta. Ancora era presto, la strada era silenziosa e non si era sentito passare nemmeno una lambretta.
Sarà mora o bionda? Avrà i capelli grossi e neri come i suoi o biondi e ricci come quelli di Antonio? Se fosse stato un maschio sarebbe un problema mettergli quei vestitini. Non li aveva fatti vedere a nessuno, erano abitini da bambola, pieni di trine e gale. Li aveva cuciti nei tempi morti, tra un vestito da sposa e un tailleur. Tutti le dicevano che aveva le mani d’oro e un gusto fine. Cuciva gli abiti alle signore più in vista del paese, all’ultimo veglione proprio una sua cliente aveva vinto il premio “eleganza”.
Improvvisamente sentì un piacevole calore alle gambe per poi essere invasa immediatamente dal freddo. Si erano rotte le acque. Appena si fu ripresa dall’emozione, tirò fuori lentamente le gambe dal letto, muovendosi al rallentatore, timorosa come se si dovesse rompere qualcosa. Si avvicinò alla porta e cominciò a bussare ma dall’altra parte regnava il silenzio. I primi colpi timidi furono seguiti da pugni più decisi. “Gina, Gina!!” chiamava sempre più preoccupata. Ma la vecchia Gina non rispondeva. Giuliana aveva sospettato più volte che fosse sorda, ma la donna aveva sempre negato dicendo che era distratta. Era inutile farsi prendere dal panico, era giorno qualcuno sarebbe passato per la piazzetta, poi la levatrice le aveva detto che dai primi dolori al parto minimo passavano 5 ore. Decise di andare in bagno a lavarsi e cambiarsi la biancheria. Poi avrebbe riprovato alla porta.
Si lavò con l’acqua gelida e indossò la biancheria che aveva preparato per il gran giorno. Tornò alla porta e ricominciò a tonfare, accompagnandosi con la voce ma Gina non rispondeva. Giuliana indossò un giaccone sopra la camicia e si avvicinò alla finestra. Aprì la persiana cercando di ripararsi dal freddo sbirciò fuori. Era tutto bianco. Durante la notte aveva nevicato, ecco spiegato il silenzio che avvolgeva la piazza, in genere rumorosa fin dalle prime ore dell’alba.
Giuliana in piedi alla finestra sentì il primo dolore. Una fitta che dalle reni arrivava fino al profondo delle viscere. Trattenne il fiato aggrappandosi alla finestra. Ancora c’era tempo, non c’era da preoccuparsi. Cominciò la spola tra la finestra e la porta chiamando sempre più disperata la Gina.
Dalla piazza non passava un’anima viva e la Gina dormiva di brutto.
I dolori cominciavano ad essere regolari, non troppo frequenti ma sempre più forti. Si dette dell’incosciente per non aver permesso a sua madre di restare a dormire da lei. La sua mente ora era sgombra da vestitini, colore dei capelli e stupidate del genere. Sperava solo che andasse tutto bene. Non aveva mai visto nemmeno una gatta partorire, sapeva a malapena cosa doveva succedere.
Tornò alla finestra e nella piazza completamente bianca vide spuntare un uomo. “Ficocco” pensò “oddio come si chiama Ficocco?”Non riusciva a ricordare il nome dell’uomo, tutti lo chiamavano con il sopranome che l’uomo detestava. Un’altra fitta arrivò, appena il dolore si attenuò aprì la finestra “ Ficocco , Ficocco!!” “Ditemi sposa, avete bisogno di qualcosa?” chiese l’uomo gentilmente nonostante l’appellativo odiato. “ Ho le doglie chiamatemi la levatrice”.
L’uomo non rispose nemmeno e cominciò a correre malamente tra la neve fresca.
Giuliana si sdraiò sul letto, presto sarebbe arrivata la levatrice ed anche Antonio e tutto sarebbe tornato a posto. La tensione sciolse dei lacrimoni sul viso angosciato, si alzò di nuovo dal letto per andare a togliere il chiavistello dalla porta. Dopo poco arrivò la levatrice, con la borsa dei ferri del mestiere e un paio di scarpe asciutte in mano.
“Giuliana, ma proprio con questo tempo dovevi partorire?”
“Ho avuto tanta paura, pensavo non arrivasse nessuno ad aiutarmi” e si mise di nuovo a piangere.
“Dai non fare la lammiona, che fra poco sarà tutto finito, ogni quanto hai i dolori?”. Giuliana si accorse che non lo sapeva, non aveva guardato l’orologio ed ora che ci pensava era un pezzo che non sentiva quelle fitte lancinanti. La levatrice tirò fuori una sveglia dalla borsa e l’appoggiò sul comodino. “Ora segniamo l’ora e vediamo ogni quanto tempo ci sono”.
Erano le 7,30 fra poco sarebbe tornato suo marito, neve permettendo. Ogni tanto la levatrice chiedeva ”Ancora niente?”
E Giuliana imbarazzata scuoteva la testa. Non aveva più i dolori, da quando era arrivata la donna nemmeno un accenno alla minima contrazione.
Arrivò Antonio e Giuliana scoppiò di nuovo a piangere “ Stavo male, si sono rotte le acque , la neve la Gina non sentiva…” Non l’aveva mai vista così fragile, era a disagio fra tutte quelle lacrime, sua moglie era sempre così riservata, nella gioia e nel dolore non perdeva mai il controllo.
“vuoi che vada a chiamare tua madre?” “nooo, siamo anche troppi!” rispose Giuliana.
Ci volle tutta la mattina perché la natura interrotta dalla paura tornasse a fare il suo corso.
Il dolore sciolse tutto il riserbo di Giuliana che pianse, rise ed urlò come tutte le partorienti del mondo. Solo a tarda sera la levatrice ormai stremata come la mamma, le mise tra le braccia quella minuscola bambina grinzosa come una vecchia di cento anni. E come la neve tutti i dubbi di Giuliana sparirono con il primo sole. Era quel piccolo fagotto caldo e urlante la felicità.

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