Racconti dietro l'angolo

Piccole storie per raccontare

sabato 27 ottobre 2007

Il Professore

Come ogni mattina, Otto guidava il professor Andreini verso la scuola. L’anziano insegnante lo seguiva fiducioso, rispondendo sorridente ai saluti che gli rivolgevano i negozianti del paese. Tutti lo conoscevano, per molti era stato il loro insegnante e spesso anche quello dei loro figli.

Il breve tragitto che lo separava dalla scuola, era scolpito nella sua mente. Erano passati molti anni da quando poteva vederlo, c’erano stati dei cambiamenti, ma aveva fatto il modo di farseli raccontare, ed ogni mattina, ad occhi chiusi “vedeva” la strada.

C’erano un paio di incroci da superare, ma lui si fidava di Otto. Traversava la strada e c’era il negozio del fotografo, l’unico ancora chiuso. Poi la pasticceria da dove veniva un odorino invitante di crema fresca e caffè. Lo spiffero di aria gli diceva che era sull’incrocio, l’unico punto del tragitto che non era racchiuso nella nicchia delle vecchie case del centro. “Anche stamani mattiniero, professore!” era il fruttivendolo che lo salutava, sbattendo le cassette di legno sui pianali di ferro.

Il caldo, fragrante mattutino aroma di pane gli diceva che era vicino al forno. Ora che c’era solo il colore dei ricordi, odori e rumori penetravano in lui indelebilmente come una macchia d’inchiostro su di un foglio. Riconosceva la voce di tutti i suoi ragazzi, anche a distanza di anni.

All’edicola gli facevano trovare pronti i quotidiani, e il professore aveva già gli spiccioli in tasca. Ora doveva svoltare a sinistra, intorno all’originale costruzione del “48”. Sembrava gettata a caso in mezzo alla strada, due vie si aprivano a ventaglio, con la piccola costruzione nel mezzo. Se la ricordava bene, era un edificio dei primi del secolo, lo aveva visto prima di diventare cieco.

Il vocio dei ragazzi, era arrivato a scuola. Sganciò il guinzaglio ad Otto, che, fedele soldato, fece dietrofront. Sarebbe tornato a prenderlo all’uscita. Arrivava tra i primi a scuola , i capelli bianchi e folti in piedi sulla testa, l’abbigliamento trasandato dove ogni tanto fiorivano innocenti e inopportune macchie. Non portava il bastone bianco e nemmeno gli occhiali scuri. Teneva le palpebre semichiuse, come un bambino l’attimo prima di addormentarsi.

Entrò in classe. Ci voleva sempre un po’ di tempo prima di riuscire a stabilire l’ordine.

Sapeva i classici a memoria, ma un giorno a settimana era dedicato alla lettura dei quotidiani.

Distribuì i giornali, uno diverso per ogni fila di banchi. Voleva che si confrontassero le notizie e che i ragazzi familiarizzassero con la loro lettura .

Fece iniziare Stefania, aveva una bella voce, chiara e decisa con le giuste intonazioni e al professore piaceva sentirla leggere.

Iniziavano con i titoli, per poi scegliere l’articolo da approfondire. Una pagina sul processo ai 50 brigatisti appena iniziato; Andreotti vara il IV governo monocolore, ci sarà l’appoggio dei comunisti? Una scorsa alla cronaca locale e Stefania improvvisamente tace. I suoi occhi e la sua voce si fermano su un piccolo trafiletto “Anziano professore denunciato da una madre per negligenza”. Afferra subito che quel professore è il suo professore, che quella madre è la madre di Petrelli, il suo compagno di classe.

Nell’aula cominciarono i mormorii incontrollati e l’udito sensibilissimo del professore captò cosa stava succedendo. Alcuni giorni prima era stato chiamato dal preside che con durezza aveva sbattuto una lettera sulla scrivania .

- Che diavolo succede nella sua classe? Le sembra possibile che un insegnante con la sua esperienza non riesca con un po’ di disciplina a controllare un paio di scalmanati!!!.-

Il professor Andreini con la calma che sempre lo accompagnava, rispose

- La mia esperienza mi insegna che è meglio preferire la carota alla frusta.

- La carota!!! altro che la carota!! le hanno mangiato la mano e tutta questa storia rischia di far mangiare anche la mia di mano e forse anche il braccio!!

Il preside finalmente spiegò che aveva ricevuto una lettera molto dura dalla madre del suo alunno di seconda Petrelli. La signora faceva delle precise accuse nei confronti dell’insegnante di lettere di suo figlio non solo di non rispettare il programma ministeriale, ma soprattutto lo accusavo di negligenza in fatto di vigilanza durante le lezioni. Non menzionava la sua menomazione ma affermava che in classe si copiava durante i compiti, le interrogazioni si facevano a libro aperto e l’insegnante non era capace di mantenere la disciplina.

- Professore, lei sa perfettamente chi è il signor Petrelli – continuò con fare paternalistico il preside che sembrava aver ritrovato la calma sedendosi dietro la scrivania. –Lei sa meglio di me, visto che vive qui, che è il presidente della Cassa Rurale. Saprà anche che ha promesso un generoso contributo alla mia scuola, alla nostra scuola!- La voce baritonale del preside si alzava in un sonoro crescendo. –Questo ci permetterebbe di diventare una scuola di avanguardia nella provincia. Ed io, i suoi colleghi, gli allievi, dovremmo rinunciare a questo per le sue picche con la signora Petrelli??

Non gli aveva fatto aprire bocca, per la verità il professore non aveva nemmeno avuto voglia di giustificarsi.

Batté la pipa sulla gamba della scrivania e, al rumore, si riscosse invitando Stefania a continuare la lettura.

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Finalmente suonò la campanella della fine delle lezioni. L’insegnante trovò il cane alla porta che lo aspettava. L’animale strofinò il corpo alle gambe del suo padrone e insieme si avviarono verso casa.

Il professor Andreini si accorse delle freddezza intorno a lui. Un passo dietro l’altro, comprese che per tutta la mattina non si era parlato d’altro, tutti avevano detto la loro, si era ricamato su quel piccolo insignificante episodio, ingigantito solo dai nomi dei protagonisti e dal fatto che il giornale gli aveva dato spazio.

Il professore si chiuse la porta alle spalle e, nel consueto buio,si adagiò nella sua poltrona.

Chi poteva aver divulgato la notizia? Il preside o la signora Petrelli? Il primo non aveva nessun interesse a far sparlare della scuola, quindi restava la signora. Era anche tipico del suo modo di fare, non era la prima volta che si faceva paladina di una causa, andando avanti come un buldolzer travolgendo tutto quello che incontrava sulla strada. Ora era toccato a lui.

Domani avrebbe parlato con il preside, non sapeva nemmeno cosa c’era scritto di preciso sul giornale. Aveva percepito solo i mormorii dei ragazzi e il gelo della gente fuori della scuola.

Avrebbe potuto chiamare un vicino, un collega e farsi leggere l’articolo. Ora non si sentiva di parlare con nessuno, avrebbe affrontato tutto domani con il preside.

Si alzò ed accese il suo vecchio giradischi . Sapeva l’ordine preciso dei dischi, contò fino a trovare le 4 stagioni di Vivaldi. Mentre la musica cominciava a riempire la stanza, si rimise nell’ avvolgente poltrona, chiuse gli occhi e si fece prendere dagli arpeggi dei violini de La primavera. Domani, domani avrebbe pensato all’inverno.

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Un deciso – Avanti! seguì l’altrettanto deciso bussare alla porta. Il professore entrò nella stanza porgendo il giornale vecchio di un giorno al preside - Non mi sono fatto leggere di proposito l’articolo, so che c’è qualcosa che mi riguarda ma vorrei che fosse lei a dirmi cosa sta succedendo.-

- Io ho provato alcuni giorni fa, a farmi dire da lei professore cosa sta succedendo con la signora Petrelli. Non ho ottenuto nessuna risposta. Per il giornale, ha ragione. Anche io avrei preferito che la cosa rimanesse qui dentro, quindi non ne so niente. Si sono limitati a pubblicare la lettera che lei conosce. Visto che io non l’ho certamente divulgata, è la signora che l’ha fatto. D’altronde è lei che l’ha scritta, può farne l’uso che crede opportuno. Doveva pensarci prima con chi aveva a che fare e valutare le conseguenze.-

L’insegnante cercò l’appoggio della sedia che aveva di fronte : - Sono 38 anni che insegno e in tutti questi anni il mio obbiettivo non è stato solo quello di far amare la nostra lingua, di far comprendere i nostri poeti o far apprezzare i grandi scrittori. Io ho amato i miei allievi, ho cercato di comprenderli e prepararli alla vita di ogni giorno, in una parola di aiutarli a crescere. A volte sono stato di aiuto, a volte no. Ma ci ho provato sempre, anche se significava difenderli dalle loro stesse famiglie.

Il preside lo interrupe acidamente - Professore voglio sapere cosa è successo con la signora Petrelli! la sua missione non mi interessa !-

- Ho avuto una discussione con la signora durante l’ultimo colloquio. Andrea è un bravo ragazzo, intelligente e preparato, ma è soffocato da sua madre. Lo protegge da tutto e da tutti, ha delle aspettative molto forti nel ragazzo e questo lo rende insicuro. E’ timido e in classe lo prendono per un borioso e si divertono alle sue spalle. Io ho provato a parlarne con la madre. Le ho consigliato di essere meno esigente, ma anche di scrollare un po’ il ragazzo, di fargli prendere qualche responsabilità, magari uno psicologo poteva essere di aiuto. Lei mi è saltata addosso, dicendomi che alla testa di suo figlio ci pensava da se, che io mi fossi occupato del mio aggiornamento professionale che probabilmente lasciava a desiderare. Insomma ci siamo lasciati malamente, ma non mi aspettavo una vendetta del genere.

Il preside era visibilmente nervoso - La sua ingenuità mi sorprende, lei conosce la reputazione della signora, prendersi la briga di dare certi consigli e magari pensare di esser anche ringraziato! Ora dobbiamo trovare una soluzione, la signora è scesa sul sentiero di guerra e le sue armi sono più affilate delle sue, professore. Io non sarò al suo fianco, non lo nascondo. Non voglio perdere le possibilità che i soldi della banca daranno a questa scuola. Provi a pensare cosa significheranno per questo Istituto… attrezzature nuove, corsi aggiuntivi… . Questa scuola, una delle tante, potrebbe diventare la migliore della provincia e, secondo lei, io dovrei perdere questo treno?

Guardiamo un’altra probabile conseguenza del disastro che la sua presunzione ha combinato. Il padre di Andrea ha amicizie influenti e io dovrei far entrare la scuola nell’occhio del ciclone, rischiare di mettermi contro il Provveditore o chi altri? Professore, lei è in guerra ed è anche solo. Una resa dignitosa è l’unica strada percorribile, ci pensi.

Il prolungarsi di una pausa preannunciò il colpo finale:- Mancano pochi mesi alla fine della scuola, potrebbe darsi malato poi chiedere il pensionamento. Non ne uscirebbe troppo male, in fin dei conti anticiperebbe solo di poco un ritiro comunque inevitabile. Uno scontro diretto non gioverebbe a nessuno, nè a lei né alla scuola. Ora non dica niente, ci pensi e mi faccia sapere.

Torni in classe e si limiti a seguire il programma. Non voglio altri colpi di testa .-

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Con il cane al guinzaglio entrò nel vialetto, la ghiaia scricchiolò sotto i suoi passi. Un forte odore di erba lo aggredì, probabilmente era stato appena falciato il prato inglese che circondava la villetta.

Non c’era più ghiaia sotto i suoi piedi, salì alcuni scalini ma non trovò il campanello d’ingresso, Bussò alla porta. Lo sferragliare della doppia mandata fu seguito da un pesante silenzio – Sono il professor Andreini, la signora è in casa?-

- Buonasera professore- riuscì finalmente a mormorare il giovane sulla porta.

- Andrea con chi stai parlando?? – un tacchettio veloce e deciso sul parquet annunciò che la signora Petrelli era in casa. Un aroma agrumato si stava avvicinando. Quando calcolò che fosse abbastanza vicino, il professore tese la mano salutando- Buonasera signora, mi scusi se mi sono permesso di venire qui, ma vorrei parlarle.-

La mano restò sospesa nel vuoto un attimo di troppo prima di incontrare quella fredda e senza vita di Sandra Petrelli. – Prima di tutto fuori il cane e te Andrea, vai in camera tua. Non credo abbiamo molto da dirci professore, ma se ci tiene si accomodi pure. –

- Mamma, posso restare fuori con il cane?

- Legalo fuori e vai in camera tua – tagliò corto la donna, incamminandosi verso il salotto. Domenico restò inchiodato sulla porta con il cane al fianco. Andrea si avvicinò al suo insegnante

- Venga professore, ad Otto ci penso io.

- Aspetta qui Andrea – Domenico accompagnò le parole con una carezza al cane che subito si mise in posizione di riposo. Il ragazzo timidamente prese il suo insegnante sotto braccio e lo accompagnò in salotto biascicando un imbarazzato - Mi dispiace .

Non appena Andrea se ne fu andato, Sandra non perse tempo:

- Allora professore a cosa debbo la sua visita? Dopo che ha reso mio figlio lo zimbello della scuola, cosa altro vuole ancora?

- Signora mi dispiace che abbia frainteso le mie intenzioni. Andrea non è lo zimbello della scuola. E’ solo un ragazzo molto timido e probabilmente qualche compagno se ne è approfittato. Ma non è successo niente di grave, qualche presa in giro è nella storia di ognuno di noi.

- Andrea non voleva tornare a scuola!! Ha chiesto a suo padre di trovargli un lavoro!! Si immagina lei!!!

- Suo figlio è troppo sotto pressione, non ingigantisca un salutare sfogo. Lo aiuti a trovare l’autostima di cui ha bisogno.

- Quello che penso di lei e della sua psicologia spicciola ho già avuto modo di dirglielo. Signor Andreini – continuò Sandra calcando la voce sul signor – lei non è più all’altezza di insegnare in una scuola e forse non lo è mai stato. Come pensavo non abbiamo più niente da dirci, l’accompagno fuori.

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- Caro Otto ancora non abbiamo finito - esclamò il professore accucciandosi accanto al pastore tedesco sul vecchio tappeto del salotto, vittima di tante arrotature feroci di Otto– lo so, te non sai niente delle mie battaglie, non c’eri ancora a farmi compagnia.

Il cane appoggiò la testa sulla mano del professore e uggiolò malinconico.

- La mia prima prova è avvenuta tanti anni fa, allora non ero un vecchio cieco, ma un giovane forte con tante speranze e tanti sogni, e te , amico mio, non c’eri in quei sogni - Otto gli mordicchiò la mano con affetto

- Ho fatto la guerra….ho subito la guerra, come tanti della mia generazione. Ero un alpino e fui mandato in Russia. Lo sai te, amico mio, cosa vuol dire non sentirsi più gli arti? Le tue belle e forti zampe che se ne vanno per conto loro. Non ascoltano più il tuo cervello che dice: cammina! E la fame….. non avere niente che ti riempia lo stomaco. Allora ti prendeva una voglia pericolosa, uno strano languore che ti scaldava…pensavi: ora mi fermo, mi adagio sulla coperta e dormo. Davanti agli occhi compariva la tua casa, la tua famiglia che ti aspettava a tavola, il focolare accesso…le campane che suonano. Ma chi cedeva a questo miraggio non si alzava più, e quanti sono rimasti sotto la neve. -Il cane ascoltava tuffando ogni tanto il naso umido nella mano ossuta del suo padrone.

– Quando siamo partiti eravamo un vero esercito poi siamo diventati una colonna di formichine sciancate, avvolti nelle coperte per ripararci dal freddo, le scarpe tenute insieme dal fil di ferro e tanta di quella fame… Camminavamo alla ricerca di un’isba per scaldarci sperando di trovare qualcosa da mangiare e seminavamo nella neve tutto quello che era inutile. Prima l’artiglieria, poi le casse con le munizioni, le carcasse dei muli che ci avevano sfamato ed infine i nostri corpi. Anche le mie gambe dissero basta, non vollero andare oltre e mi lasciai avvolgere nella neve. Ma un commilitone in coda alla colonna mi vide, mi caricò su di un mulo e in Russia ci ho lasciato solo un paio di dita e i miei occhi… che dici, Otto, fu una vittoria o una sconfitta ?

Poi l’insegnamento…..- una risata amara affiorò sulle labbra di Domenico- credi che lo volessero un professore cieco a scuola? Quanti esposti, quanti esami per poter dimostrare che potevo insegnare, che potevo ancora guadagnare il mio stipendio … ed ora che facciamo?

Io ho agito in buona fede, quello che ho detto era solo per aiutare Andrea, non volevo offendere o ferire nessuno. Ma sono fatto vecchio e forse non sono più capace di valutare la portata di quello che dico. Ogni anno ci sono ragazzi nuovi nella mia terza, sempre della stessa età, forse questo mi ha illuso che per me il tempo non passava? E invece sono diventato un inutile moscone….

Potremo stabilirci al mare, io e te. Lo so che a te piace correre sulla spiaggia e fare il bagno – come sollecitato da queste parole il pastore si riscosse dal torpore e si alzò in piedi pronto a partire – qui faranno il cerchio intorno alla nostra signora… noi ci portiamo la nostra collezione e tanti saluti.-

Erano anni che Domenico obbligava amici e colleghi a registrare nastri con i libri che leggevano, e lui li conservava come si fa con un buon vino, riservandoli per gli anni futuri.

Per il professore era arrivato il momento di stappare quelle bottiglie.

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L’aveva visto la prima volta una mattina tornando da pesca. Stava mettendo in mare una piccola barca a remi, un cane lupo gli saltellava intorno. Possibile che fosse l’uomo che si era stabilito nella casina della pineta? Aveva sentito dire che era cieco, non poteva credere che si mettesse in mare da solo. La spiaggia era deserta, Gino non aveva nessuno che lo aspettasse e si mise seduto sulla sabbia umida senza staccare gli occhi dal cane e dal suo padrone. L’uomo, i pantaloni arrotolati fino al ginocchio, era ormai in acqua, un’altra piccola spinta e salì sulla barca. Immediatamente anche il cane saltò nella sentina, accompagnato da una nuvola di spruzzi di acqua.

Gino li osservò allontanarsi dalla riva, l’abbaiare festoso del cane era l’unico rumore sulla spiaggia. Quando la sagoma del cane si distingueva ormai a malapena si fermarono, rimasero per un po’ in quella posizione per poi tornare verso la spiaggia. Avvicinandosi alla riva Domenico con un remo controllava la profondità dell’acqua, prima di scendere. Gino si avvicinò e goffamente chiese se serviva aiuto.

- Ad una mano in più non si dice mai di no – rispose con un sorriso Domenico alzando il capo.

Assicurata la barca a riva, Domenico porse la mano a Gino che la strinse con decisione. Domenico sentì una mano nodosa e ruvida, avvezza alla fatica e all’intemperie.

- Cosa fa così presto sulla spiaggia? – chiese Domenico.

- Vado a pesca, ho una piccola barca e appena fa giorno la metto in mare. Tanto non dormo.

A lei piace pescare? .- Si pentì subito della domanda.

- Veramente credo di non averlo mai fatto. Riesco a fare molte cose nonostante non ci veda, con l’aiuto del calore del sole e di Otto che è la mia bussola, vado perfino in barca. A pescare però devo ancora provarci.

- Se per lei non è un’alzataccia io domattina sono qui. Se vuole possiamo andare insieme, ho io l’attrezzatura. Porti anche il cane.

Il professore inalò l’aria salmastra, e sorrise al tiepido sole. Non era ancora inverno.

1 commento:

Antonella Provenzano ha detto...

questo non è un bel racconto... è un racconto MERAVIGLIOSO lory! bravissima!